Fondatrice delle Suore Ospedaliere della Misericordia, è fulgido esempio dell'amare e servire cristianamente, è chiara dimostrazione di come deve essere la vera carità, cristiana, gratuita e disinteressata.
Dio l'aveva dotata di tutte le virtù fisiche e morali.
Vera nobildonna romana, sposa felice, madre affettuosa, donna intuitiva impegnata nel sociale, al servizio dei malati, dei diseredati ed emarginati nella società del suo tempo.
Per umilmente servire gli altri, spesso dimenticava se stessa, per lei non esistevano difficoltà ed ostacoli quando si trattava di stare vicino a coloro che avevano bisogno di aiuto: familiari, parenti, amici, persone sconosciute, tutti quelli che in quel momento particolare rappresentavano il Signore sofferente.
In altre parole, sapeva essere vicina a chi piangeva, a chi soffriva, a chi moriva. Ma non solo questo: ella sapeva condividere anche le gioie e le felicità umane con chi l'avvicinava.
Nacque nella piccola città di Gravina di Puglia, ducato della sua famiglia, il 23 di Marzo 1788 da Domenico principe di Solofra e da Faustina Caracciolo dei principi della Torella.
Era fanciulla quando rimase orfana di padre (1790), allora il nonno Filippo, noto per la sua fede e buona condotta, si occupò della sua educazione; condusse, così, l'infanzia e l'adolescenza presso i vari monasteri: prima delle Suore della Sapienza a Napoli, poi presso le Orsoline e le Benedettine di Tor Dé Specchi a Roma. La sofferenza causata dalla morte del padre e la lontananza dalla madre non fece irrigidire il suo cuore, ma, al contrario, l'aiutò a maturare ancor più la sua comprensione della sofferenza altrui.
Terminato l'iter formativo, nel 1808, all'età di venti anni, scelse la vita matrimoniale, sposando il principe Luigi Andrea Doria Pamphilj Landi (di Roma).
Tutta la sua vita di sposa e madre corse costantemente felice nel vero senso cristiano del termine: amava Dio e la sua Chiesa, amava il marito e i quattro figli. amava i congiunti e amava gli amici, che, consapevoli del suo immenso sentimento, le rispondevano con il loro amore. Le porte dei suoi palazzi, a Roma e ad Albano, erano sempre aperte a coloro che desideravano sia la sua accogliente carità, sia i suoi saggi consigli e la sua amorevole comprensione, sia la sua intelligente, attenta ed affettuosa compagnia. Nessuno rimaneva disdegnato da lei, nessuno rimaneva senza il suo aiuto. Pur appartenendo ad una delle più illustri famiglie nobili romane, non dimenticò la gente semplice, pertanto seppe armonizzare i suoi impegni sociali con la carità verso gli altri con la giusta temperanza di costumi. Da vera nobile di sangue e di spirito, curava l'arte e gli oggetti d'antichità: commetteva scavi archeologici sia nella villa Pamphilj sia in Lorio sulla via Aurelia.
A tale attività tipica di nobildonna, ella unì quella di carità e di servizio.
La carità, infatti, era una delle sue virtù principali. Originariamente, insieme alle consorelle delle varie confraternite cui apparteneva, rese costante servizio ai malati presso l'ospedale di San Giacomo in Augusta detto degli Incurabili. Serviva con tale carità ed umiltà, da sorprendere tutti coloro che conoscevano la sua posizione sociale; non mostrava mai ribrezzo verso alcuna malattia e rilasciava alle infermiere generose offerte. Il suo esempio sollecitava le sue consorelle a servire con analogo spirito di carità evangelica. Dall'ospedale degli Incurabili spesso passava ad esercitare la sua carità nell'ospizio della Trinità dei Pellegrini, dove era stata eletta priora. Alcune volte, tornando dai ricevimenti, anziché andare a casa, passava dall'ospizio ad assistere numerosi convalescenti e pellegrini che si recavano a Roma per visitare le sacre reliquie. E' conservato un quadro in cui Teresa lava i piedi a pellegrini venuti a Roma in occasione dell'anno santo 1825, la dama di compagnia regge i suoi vestiti, mentre Teresa stessa è rivestita di umili abiti. Non tutte le sue consorelle si comportavano come lei, presentandosi vestite con troppa ricercatezza. Teresa dovette farglielo notare, modestamente e affettuosamente, come era solita fare, invitandole a condividere la sua carità ed umiltà. Il suo modo amabile di "ammonire", più con esempi che con parole, faceva si che esse si emendassero, esprimendo esplicitamente la loro gratitudine. Per questi meriti il Papa Pio VII la dominò Dama della pubblica beneficenza. Si stava trattando in quel periodo di un "laboratorio" in cui le inferme guarite all'ospedale di San Giacomo trovavano lavoro per mantenersi: filare il lino e tessere tele grosse. Lei si interessò, e così nacque il gruppo delle Lauretane. Teresa si impegnava seriamente di tali giovani affinché non mancasse loro né mantenimento né lavoro e per aiutare ancor di più questa caritatevole opera, si tassò diverse volte dei propri beni.
La sua morte fu disastrosa per questa buona istituzione, che non avendo più né mezzi né persone-guida essa cessò di esistere e solo più tardi fu assorbita dalle Suore del Buon Pastore.
Il nome di Teresa è legata la fondazione, nel 1820, di un'altra istituzione: le Suore di Carità per l'assistenza domiciliare, che risiedevano nella parrocchia romana della Madonna dei Monti.
Tuttavia, per rispondere alle incresciose esigenze dell'epoca ed alla mancanza di un sistema efficace che potesse garantire un'adeguata assistenza ai malati, Teresa si vide costretta ad accettare l'idea, espressa da un deputato dell'ospedale di San Giovanni, di migliorare l'assistenza anche di detto ospedale. Teresa, invece di trasferire le Suore di Carità della Madonna dei Monti - come le veniva richiesto - decise di fondare ancora un altro gruppo che in principio fu chiamato Suore Ospedaliere dette Sorelle della Misericordia. Originariamente si pensò ad un'istituzione analoga a quella di San Francesco de Paoli oppure di San Francesco di Sales o a quella maschile di San Camillo de Lellis. Nondimeno, presto si vide la necessità di fare una regola, aderente alla realtà di Roma. Così nel 1821 Teresa di propria persona accompagnò le prime quattro Ospedaliere a San Giovanni, dove furono ricevute dalla direzione amministrativa e sanitaria. Presso il medesimo ospedale fu concessa loro l'abitazione, diritto di cui la Congregazione gode tuttora. Fondata la congregazione, Teresa volle ritirarsi, considerando terminata la sua opera. Tuttavia l'amministrazione dell'ospedale di San Giovanni le fece rispettosa violenza di non abbandonare la nascente opera, bensì incoraggiarla, guidarla e difenderla presso le autorità competenti. Infatti Teresa rimase alla guida della Congregazione fino alla morte.
Questa vita senza tregua, questo sacrificarsi senza limiti per il prossimo, questo sacrificare il mangiare e il dormire, questo rifiutare gli agi della vita, non poteva non turbare la sua salute. Infatti, i primi disturbi si erano verificati nel 1820, quando aveva trentadue anni. Nonostante tutto non attenuò affatto la sua attività, al contrario, cercò di renderla più intensa, sembrava che quasi intuisse l'avvicinarsi della morte e volesse fare il più possibile per gli altri, negli anni che le rimanevano da vivere su questa terra. Malgrado fosse colpita da una grave malattia, negoziava di persona il matrimonio della diletta figlia Leopolda con Sigismondo Chigi. Infatti, la vide sposare poche settimane prima della morte.
Lasciò così questa vita all'età di quarantuno anni. Fu rimpianta amaramente da tutti coloro che l'avevano conosciuta o di persona o di fama. Ancora più grande fu il dolore dei poveri e dei bisognosi che avevano perso la loro amata e fedele benefattrice, "Martire della Carità".
Alla sua morte, fu unanime il grido del popolo:
"E' morta una santa!"
Era il 3 luglio 1829
Gravina in Puglia: Palazzo Orsini - Casa natale di Teresa
Roma: Palazzo Doria in via del Corso